La riforma delle BCC: opportunità o danno per il territorio
Polla, 19 marzo 2016
Un sincero saluto a tutti i presenti che oggi hanno deciso di dedicare questo sabato mattina all’appuntamento che il Rotary Club Sala Consilina-Vallo di Diano ha organizzato.
Ringrazio per l’occasione il Presidente Geppino D’Amico per aver voluto questo convegno, lo faccio da stretto suo amico ed anche Rotariano di questo club, a cui mi onoro di appartenere.
Un saluto lo porgo alla consorella di Buonabitacolo, rappresentata oggi dal Vice-Presidente Pasquale Gentile, per aver voluto condividere questo momento di riflessione su di un tema che non interessa solo le nostre aziende, bensì l’intero territorio.
Un grazie particolare lo formulo ai padroni di casa, Valerio e Costantino Di Carlo, per averci ospitato. Avere anche il contributo di Costantino oggi, per noi, è qualcosa di molto prezioso, perché rappresenta un imprenditore di primissimo piano nel panorama nazionale e non solo.
Ringrazio tutti i colleghi perché la loro presenza dimostra interesse, condivisione e sensibilità.
Introduzione
In questa fase introduttiva permettetemi di sottolineare alcuni sentimenti, che vengono dal cuore, dal cuore di chi per una vita ha vissuto il Credito Cooperativo e vorrebbe continuare a farlo, dando il suo modesto contributo.
Sono sentimenti, non solo del Direttore Michele Albanese, ma sono quelli di Michele, di chi, in 39 anni di carriera, ha visto passare davanti a lui tanti altri uomini, alcuni dei quali non ci sono più, che hanno dato la loro vita prima alle Casse Rurali e poi alle BCC. Mi riferisco a persone, di livello nazionale, come Badioli, Dalle Fabbriche, Caleffi ed, a livello locale, come i compianti Presidenti della nostra Banca Michele Albanese prima e Filippo Mordente poi.
Ammetto subito che, oggi, i miei sentimenti sono di profonda delusione, di rammarico, perché il decreto legge del 14 febbraio 2016, n.18, segnerà profondamente la storia del Credito Cooperativo, anche perché la premessa di tale decreto recita: “ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di avviare il processo di riforma del settore bancario cooperativo”.
Dispiace, soprattutto, che lo stesso non sia stato oggetto di un ampio e aperto dibattito pubblico come sarebbe stato fatto, ad esempio, in Germania; lo si è tenuto nascosto sino all’ultimo, oggetto di trattative oscure, ed è stato poi approvato dal Governo come provvedimento di straordinaria urgenza, come si fa con le calamità naturali. Questo modo di procedere non è proprio delle leggi di riforma in nessun paese civilizzato.
Il mio intervento non si concentrerà sugli aspetti giuridici contenuti nel decreto, in quanto, verranno trattati dal Vice-Presidente Gentile. Cercherò, invece, di approfondire il tema relativo alla domanda contenuta nel titolo di questo incontro: la riforma delle BCC, opportunità o danno per il territorio?
Beh, una bella domanda direi.
Lo ribadisco, sono felice che questo tema non sia stato proposto da noi che siamo nell’occhio del ciclone e diretti interessati, bensì dal Rotary e ben venga che sia svolto in una delle più importanti aziende del territorio.
Significa che tante persone hanno compreso la portata di questo provvedimento; significa che non solo noi del settore siamo preoccupati; significa che anche gli imprenditori, i cittadini hanno ben compreso che qualcosa di importante e raro sta cambiando.
Non dimentichiamoci chi sono le Banche di Credito Cooperativo: ben 4.400 sportelli delle oltre 360 BCC presenti in Italia, in 2.700 comuni, un movimento che occupa 37 mila dipendenti, 1,2 milioni di soci, 200 miliardi di raccolta, 135 miliardi di impieghi, 20 miliardi di patrimonio, Cet 1 superiore al 16%.
Numeri importanti, ma non certo esaustivi di tutto ciò che le Banche di Credito Cooperativo hanno fatto, stanno facendo e faranno.
E l’amaro in bocca è tanto, soprattutto, perché i fautori di questo riforma, così come più volte ho evidenziato, hanno fatto di tutta un’erba un fascio, annullando i valori e la storia di chi, nel tempo, con lavoro, serietà ed amore ha mantenuto viva la fiamma del futuro dei territori e delle aziende stesse.
Senza presunzione, le BCC sono le Banche che oggi hanno dato un futuro a tante zone d’Italia, non guardando solamente al business.
Prima Parte
Lo ripeto, non entrerò nei dettagli giuridici del decreto, bensì penso che sia opportuno ricordare alcune tappe fondamentali che hanno caratterizzato gli ultimi 15 mesi della nostra vita.
Ricordo ancora una data, il 30 gennaio 2015, giorno in cui tornai da Trento da un Consiglio di Amministrazione di Phoenix Informatica Bancaria, nel corso del quale si parlò, per la prima volta, della riforma del Credito Cooperativo.
In quella sede ebbi, per la prima volta, la consapevolezza di ciò che stava accadendo e che la riforma relativa alle banche popolari, per poco, non aveva interessato anche le BCC.
Capimmo subito che si trattava solo di una questione di tempo.
Che il disegno era chiaro e leggibile fin da quel giorno.
E qui voglio ribadire la vicinanza del collega Antonio Marino, della BCC di Aquara, con il quale abbiamo condiviso, fin da quella data, quotidianamente, ogni passo di questa battaglia.
A fine febbraio, con il mio staff, fummo invitati a Leno, in Provincia di Brescia, ad un convegno che Cassa Padana organizzò sul tema della riforma, dove fui invitato a prendere la parola.
A distanza di un anno posso ricordare come quei momenti rappresentarono perfettamente la realtà che a breve avremmo vissuto. Si cominciava, infatti, a diffondere una certa preoccupazione sull’argomento, che più realtà volevano dire la loro, in quanto, volevano continuare a sentirsi protagonisti del futuro.
Vi voglio riportare quelle che furono alcune delle mie considerazioni in seguito all’intervento a Leno: “Parte dalla Provincia di Brescia questo nostro grande impegno a difesa delle BCC”.
“Oggi abbiamo avuto la concreta dimostrazione di non essere soli, anzi di essere in tanti a credere che questa riforma uccide secoli di storia a favore di chi cerca di mantenere posizioni di potere senza aver alcun riconoscimento e legittimità.
Oggi Cassa Padana ha dato a tutti la possibilità di poter esprimere il proprio parere utilizzando il canale delle democrazia che, purtroppo, i vertici del movimento hanno abbandonato immediatamente.
Per noi autoriforma significa riforma del credito cooperativo dove siano le BCC a scrivere e condividere nuove regole partendo proprio da chi ha dimostrato nel tempo di essere un’eccellenza e, soprattutto, un punto di riferimento per il territorio, non da chi ha subito procedimenti sanzionatori da Banca d’Italia.
Ognuno dovrebbe avere l’onestà intellettuale di riconoscere che se non si riesce a gestire bene la propria casa non può immaginare di gestire la casa degli altri.
A questo punto, così come emerso da Leno, comincerà una battaglia di civiltà a cui invito a partecipare tutti coloro che hanno a cuore le sorti delle BCC e dei territori, senza nessun protagonismo, ma con la ferma volontà di far sentire la nostra voce ed i nostri diritti oltre ogni confine e nelle sedi opportune.
È necessario, in questa fase, non agire con fretta, prendendo il giusto tempo, senza nefaste corse contro il tempo, mettendo appunto un modello che vada ad ottimizzare i processi e non a distruggere realtà che hanno sostenuto, da anni, la vera economia italiana, quella fatta di famiglie e piccole/medie imprese".
Come evidente, oltre un anno fa, era già un grido d’allarme ben chiaro.
E, francamente, non abbiamo avuto paura di puntare il dito contro chi si è trovato a decidere le nostri sorti, personaggi come Magagni e Azzi, a vertice di strutture importanti del Credito Cooperativo come ICCREA e Federcasse, hanno lavorato alla costruzione dei loro interessi, a favore delle loro aziende (interessate da gravi difficoltà, dove i vertici ha subito grosse sanzioni dall’Organo di Vigilanza) e delle loro poltrone.
E’ troppo palese ed è sotto gli occhi di tutti, senza essere esperti in materia, che la Riforma non serve per risolvere i problemi che ci raccontano (governance, innovazione, efficienza e rafforzamento patrimoniale di alcune), ma solo a risanare i bilanci di quelle in difficoltà e le “poltrone” di chi le amministra, che, guarda caso, sicuramente, saranno gli stessi ad essere ai vertici della Holding.
Un movimento partecipato dal basso si è trovato ad dover essere tutelato da queste persone.
Dall’altro lato poi, e questo bisogna dirlo, senza voler portare parte a nessun partito politico, perché non mi interessa in alcun modo, ci siamo trovati di fronte ad un Governo scellerato, che ha l’enorme presunzione di ergersi a protagonista di tutto, andando anche a mettere le mani verso nei confronti di chi ha supportato l’economia nel periodo più buio della crisi, venendo incontro all’ossatura dell’economia italiana, le PMI.
Due punti vanno fin da subito sottolineati: in primo luogo, la convinzione, anche mia, di dover scrivere una riforma per ottimizzare un sistema che presenta diversi punti da migliorare.
In secondo luogo, quando si parla di necessità di rafforzare le BCC, si dimentica come siamo stati noi a dare credito a tante aziende nel periodo di crisi e questo ha portato sicuramente un peggioramento, a livello generale, della qualità del credito, non dovuto al modo sbagliato di fare banca, ma all’esposizione più intensa in un particolare periodo.
Purtroppo, i presupposti fondanti di questa riforma sono, per noi, completamente errati e fuorvianti, nati solamente per favorire e salvare aziende bancarie che, tutto hanno fatto tranne che operare nel solco della sana e prudente gestione e nel rispetto degli equilibri.
Oggi vogliono far pagare il conto alle banche che hanno fatto bene il proprio lavoro.
Nel corso dell’anno si sono susseguite diverse vicende e situazioni, ma tutte, purtroppo, hanno avuto alla base principi completamente contrari alla nostra visione.
Avendo costretto tutte le BCC a far parte di un unico gruppo senza alcuna facoltà di recesso, il Governo non è riuscito, purtroppo, a trovare un punto di equilibrio convincente tra due diverse necessità: rendere il sistema più forte ma senza ledere la libertà di impresa.
Non voglio ripetere le parole del capo del Governo Italiano che, ha completamente offeso tutti noi, parlando di banche di paese, di bancari non adatti, piccoli banchieri, troppe banche sotto casa, ecc.
È fondamentale ricordare, anche se dispiace dirlo, come nessuno abbia scelto questo Governo; è importante ricordare il modo in cui lui stesso è diventato segretario del suo partito; è fondamentale ricordare i suoi legami con alcune BCC Toscane, che hanno finanziato, guarda caso, il giorno stesso in cui è diventato Sindaco di Firenze, gli affari della sua famiglia.
Oggi queste Banche Toscane si trovano a beneficiare della cosiddetta way out, via d’uscita dal movimento delle BCC, affrancando le loro riserve e potendo continuare ad operare in autonomia, senza dover continuare a dar conto a nessuno.
Tra queste Banche, per cronaca, diciamo che vi è anche la BCC del Chianti che ha accorpato il Credito Fiorentino di Verdini!
Pagando anche il gettone del 20% del patrimonio allo Stato, non ai Fondi Mutualistici, per fare cassa e rimborsare gli obbligazionisti dell’Etruria (e non voglio dire nulla su questo ulteriore collegamento con il Governo ed i suoi ministri).
E’ evidente, fin troppo, altresì, che i vertici di Federcasse facciano di tutto per “salvare” la stessa, le Federazioni Locali, loro stessi e le loro banche che non ci risulta navighino in acque tranquille. Il paradosso, secondo noi, è che si intende punire proprio quelle BCC che hanno sempre operato in base al principio della “sana e prudente gestione” obbligandole ad aderire ad una holding che ha l’unico scopo di risolvere i problemi delle “loro” banche.
Anche perché alcune proposte di valore sono state sottoposte all’attenzione di ICCREA, di Federcasse, del Governo, come ad esempio il modello di Cassa Centrale, la quale aveva costruito una struttura di valorizzazione delle autonomie locali in base alla virtuosità delle singole BCC, ma con un modello chiaro, condiviso e scientifico.
Cosa che non è assolutamente stata presa in considerazione dal Decreto Legge del 14 febbraio scorso, anzi l’obiettivo, dichiarato da Renzi, era quello di creare, addirittura, un nuovo modello Credit Agricole, come in Francia, cancellando ogni realtà locale.
Seconda Parte
A che punto siamo oggi?
Siamo nel famigerato tram tram delle Commissioni parlamentari e nella discussione degli emendamenti.
E’ inutile ricordare che tutte le iniziative intraprese sulla Riforma, contenenti suggerimenti ed osservazioni fatte dalla nostra banca e da altre consorelle, non sono state mai prese in considerazione da Federcasse, che non si è degnata neppure di riscontrare le note trasmesse, trattandoci come dei “visionari”.
Federcasse, nel corso delle audizioni in Commissione Parlamentare, si è preoccupata di far inserire il “ripescaggio” delle Federazione Nazionale e di quelle locali, organismi esclusi dal decreto - dei quali occorrerebbe valutarne la reale funzionalità in presenza di una Capogruppo con così ampi poteri - e non le considerazioni espresse dalla nostra banca e da altre Bcc sulla salvaguardia del modello cooperativo per il territorio.
Rendiamoci però conto che si sta discutendo solo della way out.
Non stanno lavorando ad altre modifiche, quindi, l’indirizzo è abbastanza chiaro, nonostante i più di 300 emendamenti, a cui anche noi abbiamo partecipato con alcune proposte in collaborazione con la BCC di Aquara e altre BCC, compresa Buonabitacolo.
Anzi stanno peggiorando anche altri aspetti come l’eliminazione dei limiti (in origine solo in casi eccezionali e motivati) che prevedevano la nomina dei componenti del Cda delle BCC in capo alla capogruppo.
Onestamente, vi confido, il mio più totale disgusto nel leggere le notizie relative a ciò che sta accadendo in questi giorni; c’è un rifiuto totale nell’apprendere i vari fatti che si stanno susseguendo.
Non è rassegnazione, ma è il sentimento di chi francamente si sente offeso dopo anni ed anni di sacrifici. E sono certo di non essere l’unico.
Dato che la nostra azione non si è limitata ad un’attività di mera protesta, anzi abbiamo formulato diverse ipotesi per cercare di migliorare questa riforma, stamattina volevo condividere alcune note proposte dalla Consorella del Cilento, presieduta dal Presidente Castiello (e diretta dall’amico Ciro Solimeno).
Un documento di elevata portata, che pone l’accento su tanti aspetti che la riforma potrebbe generare sui territori e che, da subito, abbiamo pienamente condiviso e sottoscritto.
È una nota che ho letto ed analizzato, anche in seno al nostro CdA, con enorme piacere, soprattutto, perché propone al meglio tanti concetti e tanti valori comuni.
In primis, il concetto ampio e mai definito chiaramente di autonomia.
Sarà forse più chiara la Banca d’Italia sotto tale aspetto, ma l’autonomia andrà ad intaccare la capacità di discernimento di ciascuna Banche locale, che conosce il territorio, le sue dinamiche.
Un vantaggio questo da sempre riconosciuto da tutti i grandi gruppi bancari che oggi, in modo disarmante, andiamo a consegnare nelle mani delle concorrenza …
E non dovrebbe essere vero l’assunto che dice che questo Governo punta a difendere i grandi gruppi bancari a danno dei più piccoli che hanno dimostrato con i fatti di essere in grado di dare risposte concrete al paese, senza trasferire ricchezze e risorse fuori dall’Italia?
A proposito di capogruppo, il modello così proposto, e qui prendo a prestito le note della Banca del Cilento, rischiano di affievolire concretamente l’identità delle BCC, allontanandole dal modello di cooperazione scolpito nell’art. 45 della Costituzione Italiana. Il principio della funzione di direzione della capogruppo lascia, infatti, pochissimo spazio alle singole BCC con il chiaro e deciso intendimento di erigere la capogruppo stessa ad un livello di assoluto dominio nei confronti delle Banche aderenti.
La capogruppo non limiterà la sua funzione al coordinamento, ma, con l’utilizzo della direzione, spingerà i propri interventi verso le BCC a livelli fortemente incisivi e stringenti. Se da un lato il coordinamento si basa su direttive ed indirizzi elastici vincolati al risultato, ma liberi nella scelta dei mezzi, la direzione si fonda su ordini vincolanti che non lasciano spazio.
Altro elemento molto problematico, sollevato da Castiello, concerne il conflitto di interesse esistente tra il controllore ed il controllato, quindi, tra la capogruppo, di cui le BCC possiedono il controllo, e le singole BCC che verranno a loro volta controllate dalla capogruppo.
In ultimo, quindi, appare palese come il modello così prefigurato porterà ingenti deficit sull’apporto che le banche di credito cooperativo daranno al territorio.
Non mi nascondo nell’affermare, pertanto, che, per me, la riforma rappresenta un danno enorme per i territori e specie i nostri, caratterizzati da altri ed atavici problemi ben noti a tutti.
Non solo il decentramento decisionale, ma anche la presenza di principi ispiratori e valori completamente diversi porteranno ad un abbattimento degli interventi delle Banche di Credito Cooperativo, generando effetti negativi sui territori, sul contesto produttivo ed imprenditoriale e su tutta l’azione sociale messa in atto nel corso degli anni, dove le BCC, spesso, si sono anche sostituite alle amministrazioni pubbliche.
All’inizio del mio intervento facevo riferimento agli uomini del passato del credito cooperativo; siamo sempre state banche che non hanno considerato i clienti come dei numeri, bensì come delle persone con dei valori, ma, oltretutto, abbiamo avuto al nostro interno uomini che hanno fatto la nostra storia, addirittura i fondatori della nostra Banca si impegnarono in prima persona, illimitatamente, nei confronti delle obbligazioni assunte dall’allora Cassa Rurale ed Artigiana Monte Pruno di Roscigno.
Oggi, purtroppo, i nostri problemi derivano da una crisi della classe dirigente del credito cooperativo, la quale non ha saputo anteporre gli interessi della categoria rispetto a logiche personalistiche che mirano solamente a tutelare i più forti a danno di chi, nel tempo, ha fatto del lavoro e del sacrifico le chiavi di volta di una strategia, di un percorso, di un progetto.
E se oggi nella società registriamo una crisi di valori, nel nostro movimento possiamo affermare la medesima cosa.
CONCLUSIONI
I principi che continueremo a promuovere si basano su alcuni assunti ben chiari:
- non vediamo il carattere dell’urgenza e della straordinarietà di questa riforma;
- auspichiamo un modello unitario che sappia garantire le autonomie di chi sa gestire bene la propria Banca;
- smettiamola di osservare solamente questa way out, in quanto, serve solamente a 14 BCC, che avendo questo patrimonio e tale operatività mi chiedo ancora oggi cosa abbiano a che fare con il Credito Cooperativo, con il territorio e con il localismo;
- vi è la necessità di declinare il maniera corretta quello che è il principio di autonomia, lasciando spazio a Banche che, negli anni, hanno dimostrato capacità;
- aggiungo la necessità di rifondare, al più presto, con un nuovo e più moderno modello, l’intero sistema nazionale a partire delle holding già esistenti, fino ad arrivare a Federcasse, senza dimenticare le Federazioni locali.
Noi non molliamo e la nostra presenza qui testimonia la volontà di proseguire per la nostra strada.
Grazie dell’attenzione.